Diabetologia del Centro San Camillo – Poliambulatorio Bari Dott.ssa Anna De Tullio
L’ indice glicemico (IG oppure GI Glycemic Index) di un alimento indica la velocità con la quale la glicemia, cioè la quantità di glucosio nel sangue, aumenta con l’assunzione di una quantità di alimento contenente 50 grammi di carboidrati.
L’indice è espresso in termini percentuali rapportandolo alla velocità d’aumento, a parità di quantità, del carboidrato di riferimento che è il glucosio (indice pari a 100): un indice glicemico di 50 significa che l’alimento innalza la glicemia con una velocità che è la metà di quella del glucosio.
E’ importante tenere presente però che un limite importante dell’IG è la sua variabilità elevata in base ai seguenti fattori:
– varietà (per esempio le diverse varietà di un frutto hanno indice glicemico diverso);
– tempo di raccolta (un frutto acerbo ha un indice glicemico diverso da un frutto molto maturo);
– zona geografica di produzione (per esempio una mela coltivata in Danimarca o in Italia);
– modalità di produzione (per esempio i vari prodotti “industriali”);
– il contenuto di grassi e di proteine (per esempio il gelato);
– il contenuto in fibre (per esempio i veri corn flakes, ricchi di fibre, vs. i corn flakes più calorici molto più simili ai biscotti);
– la conservazione e l’essiccazione;
– il metodo di cottura (per esempio bollire o cuocere al forno varia l’indice glicemico);
– la durata della cottura (per esempio pasta al dente o leggermente scotta);
– gli altri ingredienti della ricetta (la pasta al pesto avrà indice glicemico diverso dalla pasta al pomodoro).
I tipi di carboidrati
Esistono tre tipi di carboidrati che si differenziano in base al numero di molecole:
1- monosaccaridi, come il glucosio ed il fruttosio, contengono una sola molecola di zucchero
2- disaccaridi (zuccheri semplici), come il saccarosio, il lattosio ed il maltosio, sono costituiti da due molecole di zucchero legate assieme.
3- polisaccaridi (carboidrati complessi), come l’ amido, il glicogeno e la cellulosa, sono formati dal legame di diversi monosaccaridi, creando lunghe molecole.
Il nostro intestino trasforma e scinde tutti i carboidrati che riceve dal cibo in monosaccaridi. In questo modo potranno passare attraverso la parete intestinale e circolare nel flusso ematico. Quindi, sono trasportati verso il fegato, che li trasforma in glucosio. Il fegato può far tornare il glucosio nel flusso ematico a scopo energetico, ma se nell’organismo vi è una quantità di glucosio superiore a quella di cui si ha bisogno, lo può trasformare in glicogeno per essere immagazzinato. Il rimanente glucosio nel sangue è convertito in grasso.
Per mantenere il glucosio del sangue entro valori tollerabili interviene il pancreas, secernendo gli ormoni insulina e glucagone. Quindi, un’assunzione eccessiva di carboidrati produce un aumento della glicemia e innesca il rilascio dell’insulina che riequilibra la situazione.
Il picco insulinico è tanto maggiore quanto più alto è l’indice glicemico dei carboidrati assunti.
Indice glicemico basso: garanzia di salute
Un basso indice glicemico garantisce:
– la riduzione del grasso superfluo,
– un tasso costante di zucchero nel sangue,
– un rischio ridotto di ammalarsi di diabete.
Anche il grasso nel sangue si normalizza, contribuendo a difenderci dagli infarti e dall’ictus. Un basso indice glicemico rinforza le difese immunitarie ed evita l’artrite urica (gotta).Generalmente si considerano cibi a basso IG quelli che risultano avere un valore uguale o inferiore a 55, a medio IG da 56 a 70 e alto IG più di 70.
Indice glicemico e patologie coronariche
Il consumo di carboidrati con alto indice glicemico sembra essere associato al rischio di patologie coronariche nelle donne ma non negli uomini, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Archives of Internal Medicine.
È noto che le diete ad alto tenore di carboidrati aumentano i livelli di glucosio e di trigliceridi nel sangue, riducendo al contempo i livelli di HDL – il colesterolo “buono” – e aumentando complessivamente il rischio di patologie cardiovascolari. Tuttavia, non tutti i carboidrati hanno lo stesso effetto sui livelli di glucosio.
Sabina Sieri e colleghi della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano hanno coinvolto nel loro studio quasi 48.000 soggetti adulti –15.171 di sesso maschile e 32.578 di sesso femminile – a cui sono stati somministrati alcuni questionari alimentari.
Sulla base delle risposte, i ricercatori hanno calcolato l’introito complessivo di carboidrati così come l’indice glicemico medio degli alimenti consumati dai soggetti, mettendo poi in correlazione tali parametri con i 463 casi (158 maschi e 305 donne) d’insorgenza di malattia coronarica registrati nel follow-up.
Il 25 per cento delle donne con il maggior consumo di carboidrati mostrava un rischio di patologia approssimativamente doppio rispetto al 25 per cento caratterizzato dal consumo minimo.
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