La vista è il senso che ci permette di distinguere forme, distanza e colori di tutto ciò che ci circonda e che possiamo osservare. Il meccanismo che consente la visione è molto complesso, ma alcune curiosità sui nostri occhi e sul loro funzionamento possono essere soddisfatte con semplici domande molto comuni in Oculistica, le cosiddette F.A.Q. (frequently asked questions).
Che differenza c’è tra gradi e diottrie? In oculistica i “gradi” sono riferiti all’ asse di orientamento della correzione della lente per l’astigmatismo. La diottria invece è l’unità di misura di potere delle lenti che vengono applicate davanti all’occhio per consentire di leggere i ”decimi” dell’ottotipo (la tabella con le lettere o i numeri). La diottria è l’inverso della distanza focale espressa in metri. Per esempio, una lente di 1 diottria focalizza a 1 metro, una di 2 diottrie focalizza la luce a mezzo metro e così via. Un soggetto che vede bene è in grado di vedere 10/10 senza lenti (viene detto “emmetrope”). Quindi i numeri che gli oculisti scrivono sulla prescrizione delle lenti per gli occhiali non sono altro che le diottrie (il “potere” ) delle lenti che servono al paziente per leggere al meglio l’ottotipo.
Cosa vuol dire vedere 10/10? In oculistica la misurazione della vista (detta anche valutazione del visus o acuità visiva) viene espressa in decimi. Un soggetto ha una vista per convenzione “normale” quando la sua visione naturale (cioè senza lenti correttive anteposte all’occhio) è almeno di 10/10 “dieci decimi”. I decimi (numeri o lettere) di riferimento sul tabellone (ottotipo) che l’oculista ci fa leggere sono infatti ridotti man mano di dimensioni sino a raggiungere il valore dei più piccoli, che se letti corrispondono appunto ai dieci decimi. Quindi avere una vista di dieci decimi, significa vedere tutte e dieci le righe del tabellone, 2/10 leggere solo le prime due, 3/10 leggere le prime 3 righe e così via. Un soggetto che vede dieci decimi naturali viene detto “emmetrope”. Ci sono persone che riescono a vedere più dei “canonici” 10/10, anche i 12/10, i 14/10 e oltre perché hanno un costruzione anatomica particolarmente precisa che gli consente di raggiungere un elevata acuità visiva.
La presbiopia. La comparsa di difficoltà nella di lettura o di sdoppiamenti delle lettere, con sensazione di stanchezza agli occhi sono tutti i sintomi della presbiopia incipiente e l’uso dell’occhiale per vicino si rende “fisiologicamente” necessario nei soggetti normali oltre i 40-45 anni di età. Se, pur superata questa età, il paziente non avverte alcun disturbo nella visione da vicino, è probabile che abbia un buona capacità accomodativa o che sia leggermente miope e in tale caso l’uso degli occhiali per vicino potrà essere procrastinato nel tempo. In genere, dopo i 40 anni, il meccanismo di messa a fuoco per vicino incomincia a non essere così efficiente per perdita progressiva dell’elasticità del cristallino (con il passare degli anni si ha una progressiva e fisiologica perdita della capacità accomodativa dalle oltre 10 diottrie a 8 anni a 1 diottria a 60-65). La perdita di elasticità del cristallino rende impossibile l’aumento del suo potere diottrico (la sua capacità di assumere la forma sferica) e per tornare a vedere nitidamente abbiamo necessità di aggiungere al davanti dell’occhio delle lenti convergenti (positive) come quelle dell’ipermetropia. Nel momento in cui quindi, ci si rende conto della crescente difficoltà alla lettura, è consigliabile effettuare una visita oculistica e su consiglio oculistico farsi prescrivere gli occhiali per vicino più adatti per le funzioni da svolgere da vicino (lettura, uso del computer, lavori manuali) per evitare lo sforzo visivo nella lettura prolungata, lo sdoppiamento delle lettere e gli altri sintomi di affaticamento visivo (bruciori, irritazione e arrossamento degli occhi sino alla cefalea). Infine la perdita di elasticità al di sopra i 65 anni, può cominciare ad associarsi alla perdita di trasparenza del cristallino (cataratta).
Che vuol dire “occhio dominante”? Il nostro cervello elabora le immagini provenienti dai due occhi in una sola, fornendoci un’immagine tridimensionale della realtà. La capacità del cervello di fondere le due immagini in una sola non ci consente di percepire che un occhio è “privilegiato” rispetto all’altro. Infatti, abbiamo tutti un occhio “dominante” rispetto all’altro, che può essere il sinistro o il destro e che “comanda” la nostra visione. Quando guardiamo, abbiamo un occhio che “mira” e l’altro che ci aiuta completando la visione e consentendoci la stereoscopia (ossia la capacità di vedere la profondità degli oggetti, in 3D). Quando fissiamo un oggetto, solo uno dei due occhi sarà realmente “allineato” a questo, cioè l’occhio dominante, mentre l’altro “completerà” l’immagine garantendoci la tridimensionalità. Per scoprire quale dei due occhi è il nostro occhio dominante vi sono diversi test.
Come vediamo i colori e che cos’è lo spettro visibile? Isaac Newton, il famoso scienziato inglese vissuto tra il XVII ed il XVIII secolo, fu il primo a scomporre la luce bianca e a descriverne i sette colori che la costituiscono: rosso, arancione, giallo verde, azzurro, indaco e violetto. Il rosso si trova in corrispondenza delle radiazioni di lunghezza d’onda maggiori (tra i 650 ed i 700 nm), il violetto è in corrispondenza delle radiazioni di lunghezza d’onda minori (420-470). Tra i due estremi troviamo tutti gli altri colori dello spettro con lunghezze d’onda intermedie. Quindi un oggetto ci appare di un determinato colore perché assorbe le radiazioni di diversa lunghezza d’onda e riflette quella del colore che noi poi vediamo. La luce che percepiamo (spettro visibile) è solo una piccola porzione dello spettro elettromagnetico di cui fanno parte anche le onde radio, le microonde, l’infrarosso, gli ultravioletti, i raggi X ed i gamma. I nostri occhi sono in grado di vedere (ed in grado di qualificarne i colori), nello spettro visibile, radiazioni della lunghezza d’onda comprese tra i 400 ed i 700 nm (nanometri= unità di misura delle lunghezza d’onda più basse corrispondente ad un miliardesimo di metro). Nella nostra retina ci sono circa 120.000.000 di bastoncelli che ci assicurano la visione notturna e circa 6.500.000 di coni tutti localizzati nella fovea.
Cosa è il Test di Amsler? Il test di Amsler è stato introdotto nella pratica clinica dal 1940 per determinare e monitorare le patologie della macula come la degenerazione maculare senile. Rappresenta un esame estremamente facile da utilizzare, ripetibile anche a casa e abbastanza sensibile per determinare anche piccole ed incipienti alterazioni retiniche, nonché per monitorare evoluzione di scotomi preesistenti. Nell’esecuzione del test di AMSLER il paziente deve posizionare la griglia a circa 30 cm, con la correzione per vicino se è presbite, ed esaminare un occhio per volta. La griglia del test, (di dimensioni di 10X10 cm contenente 400 quadratini, di cui ognuno misura 5 mm quadrati), quando viene posizionata a 30 cm dall’occhio del paziente, fa si che ogni quadratino sottenda a 1° di retina maculare valutando quindi un’area complessiva di 20° retinici, comprendendo quindi l’intera macula. Fissando il punto nero centrale con particolare attenzione (senza muovere assolutamente l’occhio da questa mira di riferimento) si possono evidenziare distorsioni, irregolarità e deformazioni (metatmorfospie) della griglia in corrispondenza di possibili alterazioni retiniche maculari foveali. In particolare si devono controllare i lati dei quadretti che dovrebbero essere sempre diritti e non presentare interruzioni, aree di confusione o distorsioni. Se queste fossero presenti è bene rivolgersi al proprio oculista. Questo semplice test va eseguito frequentemente, soprattutto dalle persone di età superiore ai 50 anni, dai soggetti che presentano miopia elevata, che hanno già presentato patologie a carico della macula o della fovea nell’altro occhio, dai soggetti a rischio per la già diagnosticata presenza di drusen, o di altri patologie maculari (degenerazione maculare senile, corioretinite sierosa centrale, membrane neovascolari sottoretiniche incipienti etc.), per controllarne la possibile insorgenza e monitorarne il grado di evoluzione.
Da cosa dipende il colore degli occhi? La differenza del colore degli occhi (che è più corretto definire il colore dell’iride in quanto è l’iride la parte colorata dell’occhio), dipende dalla quantità di pigmento (melanina) presente sulla sua superficie. L’iride è un diaframma muscolare che regola la quantità di luce che deve entrare nell’occhio nelle varie condizioni d’illuminazione e la quantità e le caratteristiche della melanina distribuita sull’iride (dimensioni dei granuli e loro caratteristiche) determinano in definitiva il colore. Quello più diffuso negli uomini è il marrone (abbondanti e grandi granuli di melanina) e l’azzurro (pochi e piccoli granuli di melanina) e anche se ci sono iridi color nocciola con tonalità differenti, iridi grigie, blu e verdi, la colorazione dipende solo dalle caratteristiche dei granuli di melanina sulla superficie dell’iride che sono ereditate geneticamente dai genitori tramite il controllo da parte di più geni (ereditarietà di tipo poligenico). In generale, il colore marrone è dominante sul blu.
Miopia, perché si manifesta nell’adolescenza? La miopia (assile cioè secondaria all’aumento del diametro dell’occhio che è poi quella che si verifica durante l’accrescimento), è legata allo squilibrio tra potere rifrattivo dell’occhio e la sua lunghezza antero-posteriore. Nell’adolescenza si può verificare un aumento del diametro antero-posteriore dell’occhio, che “cresce” come crescono altri organi durante lo sviluppo. E’inevitabile quindi che l’aumento di lunghezza dell’occhio si traduca in un aumento della miopia. A questa età è bene correggere totalmente la miopia, senza ipercorregerla, fare controlli ravvicinati (ogni 4-6 mesi) dall’oculista. Infine bisogna considerare che durante l’accrescimento vi è un aumentato fabbisogno di vitamine (soprattutto A ed E) e quindi dobbiamo far assumere, possibilmente con la dieta, i giusti dosaggi, ai nostri figli. (Il beta-carotene è particolarmente importante, in natura si trova negli spinaci, nelle carote ed in alcuni tipi di frutta, ma la sua assunzione non deve essere superiore ai 7 milligrammi al giorno. Anche la vitamina C, non più di 1.000 milligrammi al giorno e circa 300 UI di vit. E). Eventualmente è consigliabile, ove la dieta non sia adeguata, assumere integratori che contengano betacarotene, antacianosidi, flavonoidi, estratti di mirtillo.